Gilles Deleuze (1925-1995)
di Fabio Treppiedi
Gilles Louis René Deleuze nasce, il 18 gennaio 1925 a Parigi, da una famiglia di estrazione borghese. Nell’imminenza della guerra, si trasferisce per un anno a Deauville dove incontra un giovane professore, Pierre Halbwachs, che lo introduce alla lettura di Baudelaire, Valery, Gide facendogli anche conoscere una realtà, quella della cultura e dell’impegno politico, a lui estranea fino a quel momento. Sarà lo stesso Deleuze, dopo molti anni, a dichiarare: «È allora che ho smesso di essere un idiota»; prima di quell’incontro, infatti, non era che un ragazzino mediocre a scuola e privo di interessi. Iscrittosi al liceo Carnot di Parigi, Deleuze approccia i primi testi di filosofia (soprattutto Platone) sotto la guida del professor Vial, mentre fra i coetanei si diffonde lo spirito della Resistenza contro l’occupazione tedesca. Durante la prima metà degli anni Quaranta, frequentando le classi preparatorie all’École Normale, Deleuze diviene allievo di Jean Hyppolite. Si tratta di un periodo denso di eventi e interessi filosofici tra i quali la partecipazione al collegio filosofico di Jean Wahl e le sedute di La Fortelle, un castello alle porte di Parigi in cui Mary-Madelaine Davy, specialista di mistica medievale, organizza incontri culturali a favore della Resistenza. Lei stessa presenta Deleuze a De Gandillac, Lacan e Klossowski come «il nuovo Sartre». Frequenta la Sorbona sul finire dell’occupazione tedesca, sotto la guida di Hyppolite e Alquié. Deleuze matura un atteggiamento critico nei confronti di entrambi in quanto espressione, ognuno a suo modo, di una filosofia poco vivace e troppo istituzionalizzata. Fu Sartre, figura non accademica, simbolo di cultura critica e innovativa, a rappresentare la vera novità per il giovane Deleuze. I primissimi scritti deleuziani, infatti, pubblicati su riviste minori tra il 1945 e il 1947, manifestano un forte ascendente sartriano che sfocerà dapprima in una polemica, condivisa col filosofo de L’essere e il nulla, al mito umanista dell’interiorità e, poco dopo, in un’eclatante rottura con lo stesso Sartre a causa della sua inaspettata difesa, nella conferenza L’esistenzialismo è un umanismo, della centralità dell’uomo in filosofia. Con una netta svolta rispetto alla rigida formazione sorboniana (incentrata, soprattutto con Alquié, sui capisaldi della filosofia moderna), Deleuze concretizza nuovi interessi seguendo periodicamente i corsi di Georges Canguilhem a Strasburgo. L’autore de Il normale e il patologico, a partire da quegli anni, sarà il fautore di uno stile filosofico (la cui massima espressione si avrà con Foucault) che accoglie istanze scientifiche, storiche e sociologiche. Le dispute epistemologiche intorno al vitalismo, la lettura di Bergson e la scoperta del Pluralismo e dell’Empirismo anglo-americani (determinante fu qui l’influenza di Jean Wahl) costituiscono un milieu che permette a Deleuze di gravitare in un orizzonte di ricerca originale e alternativo rispetto alle tendenze filosofiche in ascesa negli anni Quaranta come l’hegelismo di Kojève e di Hyppolite e la Fenomenologia husserliana. Da qui anche la scelta di dedicare a Hume la tesi (rielaborata e pubblicata nel 1953 col titolo Empirismo e soggettività) per il Diplôme d’études superiéures, ottenuto nel 1947 sotto la direzione di Hyppolite e Canguilhem. Deleuze sposa Fanny Grandjouan, dalla quale avrà due figli e per quasi un decennio, sin dalla fine degli anni Quaranta, insegnerà nei licei. In questi anni, la sua ricerca si focalizza soprattutto su Bergson al quale dedica un paio di saggi pubblicati nel 1956. Successivamente ottiene un contratto al CNRS e un ruolo di assistente in storia della filosofia alla Sorbona per poi trasferirsi a Lione nel 1964 continuando a dedicarsi ad una densa e scrupolosa riflessione critica sulla storia della filosofia, scandita dalle monografie dedicate a Nietzsche (1962), Kant (1963), Proust (1964) e Bergson (1966), che condurrà all’elaborazione teorica della tesi principale di dottorato, Differenza e ripetizione, discussa e pubblicata nel 1968. Nel frattempo, intervenendo in due tra i più importanti simposi su Nietzsche del Dopoguerra, a Royaumont (convegno da lui organizzato nel 1964) e a Cerisy-la-Salle nel 1972, inizia a rendersi noto come uno dei fautori della Nietzsche renaissance, l’ «alba di una controcultura» -come dirà Deleuze nell’intervento del 1972- immediatamente successiva alla pubblicazione dell’edizione critica di Colli e Montinari. Nello stesso anno di Differenza e ripetizione verrà pubblicata la tesi complementare, Spinoza e il problema dell’espressione, redatta sotto la guida di Alquié. La stesura della tesi principale, inizialmente intrapresa sotto la tutela di Hyppolite e dedicata al «concetto di problema», ebbe un cammino pieno di esitazioni che indussero Deleuze ad optare per un tema differente e per Maurice De Gandillac come relatore.
Differenza e ripetizione presenta un impianto d’ispirazione strutturalista, e a forte curvatura storica, teso a far emergere, nella sua pars destruens, il potere illimitatamente «differenziante» della differenza in sé, potere del quale la rappresentazione classica non riuscirebbe a restituire il rapporto «interiore» con la ripetizione in quanto essenza inconcettualizzabile della differenza in sé. Sullo sfondo di questa concezione della differenza vi è anche il rifiuto deleuziano della dottrina ontologica dell’analogia entis a favore della tesi scotista dell’univocità sviluppata, con Spinoza e il Neoplatonismo moderno, secondo il paradigma dell’espressione. L’origine della subordinazione della differenza pura al falso movimento del «blocco organico» di identità e contraddizione va rintracciata, secondo Deleuze, nella scelta «etica» del platonismo in direzione di un’«immagine del pensiero» che a stento ha saputo arginare il dionisiaco della differenza rappresentandola nel «simulacro» ribelle alla logica apollinea del modello e della copia. Il «rovesciamento del platonismo» significa allora la possibilità di un pensiero «senza immagine» il quale, per la violenza di ciò che «costringe a pensare» e non per il presupposto di una «natura retta» del pensiero e del pensatore, potrà aspirare ad una «genesi reale del pensiero nell’atto stesso di pensare». Nella pars construens dell’opera, Deleuze introduce un «empirismo trascendentale» (secondo un termine coniato agli inizi del Novecento in seno al neokantismo di Rickert) mirato a salvaguardare le essenziali e illimitabili variazioni della realtà proprio attraverso un pensiero delle condizioni reali dell’esperienza. Non più solo possibili, come lo erano state per Kant, tali condizioni si configurano «caso per caso» ritagliando per ogni cosa il suo concetto appropriato, senza assurgere di necessità al rango di «leggi», né acquisire un’estensione maggiore rispetto a ciò che si presume venga condizionato o fondato. Da qui le digressioni sul tema del metodo in filosofia attraverso le quali Deleuze introduce una «drammatizzazione», in cui le «Idee» si fanno esperienza concreta, contrapposta al «falso movimento» della dialettica. Relativa a ciò è anche la critica al concetto di possibilità in favore dell’idea bergsoniana di «virtuale» magistralmente riassunta nella formula di Proust: «reale senza essere attuale, ideale senza essere astratto». Si possono iniziare così a prefigurare altri dinamismi del pensare che potranno tenere conto sia di altre concezioni del tempo e delle sue sintesi (storicamente suggerite dal «rovesciamento kantiano della subordinazione» del tempo allo spazio, dalla dottrina nietzscheana dell’eterno ritorno e dalla psicanalisi), sia di un’idea dinamica della soggettività come apertura al «preindividuale». Determinante, sul versante di questa trasformazione implicita del principium individuationis, è stata per Deleuze la lettura dell’opera di Gilbert Simondon, L’individu et sa genèse physico-biologique. Nel tentativo deleuziano di rimodulare i rapporti fra trascendentale ed empirico si impone l’urgenza di ripensare la filosofia stessa attribuendo un ruolo non subalterno alle forze dell’inconscio. Complementare a Differenza e ripetizione, nell’unicità del momento teorico fondativo deleuziano di fine anni Sessanta, è Logica del senso (1969) con cui Deleuze, a partire dagli spunti più diversi (Carrol, la logica stoica, lo Strutturalismo, la dottrina husserliana della «donazione di senso», l’inconscio lacaniano) integra la dimensione ontologica e storica di Differenza e ripetizione con una metafisica del puro «evento» ed una teoria della «costituzione paradossale del senso». Sul finire degli anni Sessanta Deleuze viene chiamato, assieme a Foucault, Lyotard e altri, ad insegnare a Vincennes (Parigi VIII), una nuova realtà universitaria aperta ai temi e ai dibattiti introdotti dalla contestazione del 1968. Al di là dell’entusiasmo suscitato, però, dopo qualche anno il governo francese non ne sostenne più le attività di Vincennes dichiarandone implicitamente nulla l’esperienza didattica e trasferendo Parigi VIII a Saint Denis, dove Deleuze insegnò fino alla fine della sua carriera.
L’incontro con lo psicanalista di scuola lacaniana Félix Guattari, risalente anch’esso all’inizio degli anni Settanta, segna l’inizio di una seconda fase della filosofia deleuziana. Deleuze e Guattari creeranno lo spazio di una nuova immagine del pensiero elaborata nell’arco di tempo compreso tra la pubblicazione di Anti-Edipo (1972) e quella di Millepiani (1980), le due parti di un progetto a quattro mani intitolato Capitalismo e schizofrenia. Sono questi gli anni di un forte impegno politico e sociale di Deleuze che lo farà esporre in merito a diversi avvenimenti nazionali e internazionali riuscendo, con stile e capacità critica, a non far scadere la sua indole militante e al contempo autonoma nello stereotipo del filosofo con la tessera di partito. Si possono ricordare, sotto quest’aspetto, la partecipazione al GIP (gruppo di informazione sulle prigioni ideato da Foucault), i proclami in favore dei gruppi omosessuali, della causa palestinese e, dalle pagine di Repubblica, in difesa di Toni Negri. Nel maggio del 1973, sull’onda dello straripante successo che Anti-Edipo riscuoteva tra i giovani intellettuali, Deleuze giunge in Italia per una conferenza a Milano presso la libreria Sapere gremita, come le aule dei suoi corsi universitari, di studenti desiderosi di ascoltare il filosofo francese divenuto, in breve tempo, uno degli autori di riferimento dei movimenti del Settantasette. A proposito di Anti-Edipo, Deleuze e Guattari parleranno di una «critica della ragion pura dell’inconscio» che muove, come si evince dal titolo, da una netta presa di distanza dalla psicanalisi, accusata di circoscrivere il desiderio alla vicenda familiare e di negare così le reali potenzialità produttive dell’inconscio. Se dal punto di vista storico e sociale tali limiti sono da addebitare alla subordinazione della psicanalisi ai poteri dello Stato e del Mercato, dal punto di vista filosofico, invece, la critica denuncia l’esigenza di un approfondimento sui due versanti del desiderio e dei rapporti di potere. L’inconscio non è il teatro delle vicende di Edipo, ma una «fabbrica» di meccanismi che producono la realtà stessa. Il desiderio è l’immanenza di ciò che, oltre a permeare la soggettività, non si distingue dal suo oggetto e non rinvia ad altro che a se stesso proliferando nelle «macchine desideranti», forme in continua ridefinizione che veicolano il desiderio sui limiti tra l’organico e l’inorganico. La complessità di una tale produzione, per essere sondata e vissuta, urge di una pragmatica e di una metodica il cui primo compito dovrà essere quello di smantellare, a partire dalla «macchina desiderante», lo schema limitativo soggetto-oggetto proiettandosi preferibilmente su una «prospettiva privilegiata» come la schizofrenia, non più come dimensione patologica ma come approccio teorico: constatato quanto il «sociale» contemporaneo viva immancabilmente dei rapporti di produzione del capitalismo, l’indagine sul funzionamento delle istituzioni, viste alla luce dei meccanismi di potere e produzione che queste sviluppano con individui e società, non può che essere «schizoanalisi». Il desiderio così concepito non investe solo il corpo umano e animale come organismo di «segmenti molari» ma, più in profondità, i «flussi molecolari» che si compenetrano nel «corpo senz’organi» (CsO). Millepiani ruoterà proprio attorno a questa nozione mutuata da Antonin Artaud. Il secondo volume di Capitalismo e schizofrenia innesta sullo sfondo destrutturante e antipsicanalitico di Anti-Edipo, le linee critiche, dalla linguistica alla zoologia, attraverso cui giungere alla fusione sperimentale di teoria e pratica del desiderio che prenderà il nome di «ontoetica» o «ontoetologia». Già in Anti-Edipo, per Deleuze, il CsO presentava tutti i caratteri della sostanza immanente di Spinoza: gli organi, infatti, sono come gli ultimi attributi del CsO. Organi e CsO sono «una sola e identica cosa», «una molteplicità» su cui il pensare non riflette ma di cui sperimenta l’effettiva realtà. Lungo questa via, per Deleuze e Guattari, si può scongiurare il rischio frequente di scambiare il CsO per qualcos’altro, dato che non si tratta né di un corpo in frammenti né di un annullamento dell’organismo: quest’ultimo, al contrario, rimane una condizione fondamentale dell’esistenza, intrascendibile per il vivere. Si chiarisce così perché Deleuze si rapporti alla soggettività non per distruggerla per trasformarla. Alle morfologie «arborescenti» dei dinamismi che non si spingono oltre il dominio dell’organicità, della coscienza e della soggettività, Deleuze e Guattari affiancano la sistematicità aleatoria del «rizoma», cui saranno immanenti sia i il CsO che il corpo organico, tra di loro rapportati secondo una gamma di modalità sintetiche e relazionali (le «sintesi disgiuntive», i «concatenamenti», i «divenire») che non sono afferrabili né dalla rappresentazione né tantomeno dalla dialettica. Millepiani è animato da una descrizione del reale che si confonde con la sua concreta esplorazione, con le pratiche che lo disfano e lo ricreano continuamente: bisogna «farsi un CsO» operando la «deterritorializzazione» delle stratificazioni rigide dell’organismo, della soggettività e della significazione linguistica senza che con ciò si radicalizzi questo stesso operare che condurrebbe all’irrazionalismo e alla morte. Pertanto, non è all’insegna della sfrenatezza che dobbiamo vivere il desiderio ma, viceversa, nel segno della «prudenza»: non avremo mai vere «deterritoralizzazioni» in direzione del CsO se non nell’implicita capacità di «riterritorializzare» un organismo che «bisogna conservare quanto basta perché si riformi a ogni alba». L’oscillare continuo del CsO «tra le superfici che lo stratificano e il piano che lo libera» coinciderà allora col nostro stesso movimento vitale, col «viaggio immobile» tipico dei veri «nomadi» che si spostano pur rimanendo saldamente legati alla terra da cui muovono e alla quale ritornano. Un «nomadismo» che fa dello scrittore, ad esempio, lo «straniero nella propria lingua» come Kafka il quale, ebreo ceco di che scrive in lingua tedesca, inventa una «lingua minore» facendo «balbettare» il tedesco, deterritorializzando cioè la lingua ufficiale.
Il pensiero di Deleuze va assumendo i connotati di un criticismo sperimentale, di un filosofare immanente ai più ai più svariati ambiti d’esperienza: dalla psicanalisi alla politica, dalla scienza alle matematiche, dalla musica progressive rock al cinema, dal teatro di Carmelo Bene alla pittura di Francis Bacon. Questi motivi sperimentali della teoria sono differenti espressioni di quell’«empirismo trascendentale» che si imponeva già tra gli elementi più originali di Differenza e ripetizione e la cui gestazione affondava le radici nel peculiare confronto deleuziano con la storia della filosofia iniziato col libro su Hume e proseguito fino a Logica del senso. L’«empirismo trascendentale», pertanto, raccorda dinamicamente le diverse fasi della filosofia di Deleuze e ne restituisce l’unità. L’esplorazione deleuziana dei diversi campi d’esperienza, soprattutto di quella artistica, coinciderà con un progressivo ritorno alla storia della filosofia come si nota, ad esempio, negli articolati commenti a Bergson presenti nei due volumi sul cinema scritti negli anni Ottanta. Il modo in cui Deleuze rimette in gioco i filosofi del passato, però, è adesso animato da un nuovo intento rispetto alle monografie degli anni Sessanta. Alla luce di tutto ciò che ha contraddistinto la riflessione successiva a Differenza e ripetizione, infatti, per Deleuze non si tratta più soltanto di restituire ai filosofi del passato la loro autenticità, ma di mostrarne la piena attualità sviluppandone i concetti fino a un punto in cui nemmeno essi stessi si erano spinti. Questa inerenza della filosofia e dei filosofi storici all’attualità e, soprattutto, all’avvenire stesso è messa in luce da Deleuze nel testo del 1988 dedicato a Leibniz così come già in quello su Foucault del 1986. Quest’ultimo, nacque da un contributo che Deleuze pronunciò in occasione della morte del filosofo de Le parole e le cose che all’inizio degli anni Settanta, recensendo Differenza e ripetizione e Logica del senso, scrisse la celebre frase: «ma un giorno, forse, il secolo sarà [chiamato] deleuziano». Grazie a questo ritorno alla storia della filosofia, Deleuze arriverà a mostrare, a dispetto dei giudizi della critica su Anti-Edipo e Millepiani, lo spessore dichiaratamente classico e sistematico della propria idea di filosofia. Deleuze concilierà così le linee di tensione che hanno animato tutta la sua ricerca fino a quel momento, dalla critica della soggettività cartesiana all’idea di un «empirismo trascendentale» connesso ad un’ontologia «immanente». Non sussistendo più un ego originario atto a segnare la frontiera tra esperienza ed essere, l’immanenza oltrepassa definitivamente i limiti del soggetto e dell’oggetto, facendo del filosofare stesso una questione di «stile», di «messa in movimento dei concetti», glissando dal discorso trascendentale a quello ontologico: l’ontologia del virtuale, sotto questo aspetto, è già descrizione dell’esperienza reale. All’inizio degli anni Novanta, Deleuze definirà la filosofia «creazione di concetti», capacità di inventare «tagli nel caos» attraverso cui il pensiero traccia a velocità infinita, di esperienza in esperienza, i molteplici piani di quell’immanenza assoluta che non deriva dalla trascendenza ma, al contrario, ne motiva il sorgere ponendosi come «principio plastico» e differenziale i cui gradi designano piani irriducibili, modi d’esistenza e di pensiero, possibilità di vita.
Dopo il pensionamento avvenuto nel 1988 e la pubblicazione dell’ultima opera scritta con Guattari, Che cos’è la filosofia? (1991), Deleuze avvertirà nella malattia polmonare, che lo tormenta da decenni, un impedimento sempre più incisivo per le sue attività. Pone fine alla sua vita, gettandosi dalla finestra del suo appartamento parigino, nella notte tra il 4 e il 5 novembre del 1995, lasciando incompiuto il suo ultimo libro dedicato a Marx. Negli ultimi anni, era stato quasi totalmente assente dalle scene pubbliche, dai dibattiti filosofici e dai convegni, che in verità non amò mai preferendo piuttosto, fino a quando era stato possibile, il rapporto con gli studenti dei suoi corsi universitari e un denso lavorio privato di ricerca. Sul finire degli anni Ottanta concesse alla sua allieva Claire Parnet una lunga videointervista in forma di abbecedario che scelse di realizzare alla sola condizione che questa venisse resa pubblica solo dopo la sua morte. Dichiarò in quell’occasione di essere stato un pensatore «senza saperi di riserva», essendo pienamente convinto che tutto il suo pensiero fosse definitivamente contenuto nei testi che aveva pubblicato. Anche per questo motivo vietò la diffusione dei corsi universitari, degli interventi non ufficiali e degli scritti anteriori al 1953. Solo qualche settimana prima della sua morte era stato pubblicato il suo ultimo brevissimo scritto, L’immanenza: una vita… con cui, ripercorrendo i concetti più importanti della sua filosofia, consegna ai lettori un vero e proprio testamento filosofico, un invito al pensare come a quella sempre nuova e mai meramente ripetitiva esperienza di apertura all’«immanenza assoluta», «potenza impersonale» che è vita.
OPERE
Empirisme et subjectivité. Essai sur la nature humaine selon Hume, Puf, Paris 1953 [trad. it. di M. Cavazza, Empirismo e soggettività. Saggio sulla natura umana secondo Hume, Cronopio, Napoli 2000]
Nietzsche et la philosophie, Puf, Paris 1962 [trad. it. di F. Polidori, Nietzsche e la filosofia, Einaudi, Torino 2002]
La philosophie critique de Kant, Puf, Paris, 1963 [trad. it. di M. Cavazza e A. Moscati, La filosofia critica di Kant, Cronopio, Napoli 2009]
Marcel Proust et les signes, Puf, Paris 1964 [trad. it. di C. Lusignoli e D. De Agostini, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 2001]
Nietzsche, Puf, Paris 1965 [trad. it. di F. Rella, Nietzsche, SE, Milano 1997]
Le bergsonisme, Puf, Paris 1966 [trad. it. a cura di P. A. Rovatti, Il bergsonismo e altri saggi, Einaudi, Torino 2001, il volume comprende i due saggi del 1956]
Présentation de Sacher-Masoch, Minuit, Paris 1967 [trad. it. di G. De Col, Il freddo e il crudele, SE, Milano 2007]
Différence et répétition, Puf, Paris 1968 [trad. it. di G. Guglielmi, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina, Milano 1997]
Spinoza et le probléme de l’expression, Minuit, Paris 1968 [trad. it. di S. Ansaldi, Spinoza e il problema dell’espressione, Quodlibet, Macerata 1999]
Logique du sens, Minuit, Paris 1969 [trad. it. di M. De Stefanis, Logica del senso, Feltrinelli, Milano 2006]
Spinoza, Puf, Paris 1970 (seconda edizione riveduta, Spinoza. Philosophie pratique, 1981) [trad. it. dal testo della seconda edizione di M. Senaldi, Spinoza. Filosofia pratica, Guerini e Associati, Milano 1991]
Anti-Œdipe. Capitalisme et schizofrénie, tome I, (con F. Guattari), Minuit, Paris, 1972 [trad. it. di A. Fontana, Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 2002]
Kafka. Pour une littérature mineure, (con F. Guattari), Minuit, Paris 1975 [trad. it. di A. Serra, Kafka. Per una letteratura minore, Quodlibet, Macerata 2000]
Dialogues (con C. Parnet), Flammarion, Paris 1977 [trad. it. di G. Comolli, Conversazioni, Ombre Corte,Verona 2006]
Sovrapposizioni, (con C. Bene), Feltrinelli, Milano 1978
Mille plateaux. Capitalisme et schizofrénie, tome II, (con F. Guattari) Minuit, Paris 1980 [trad. it. di G. Passerone, Millepiani. Capitalismo e schizophrenia, Castelvecchi, Roma 2006]
Francis Bacon. Logique de la sensation, La Différence, Paris 1981 [trad. it. di S. Verdicchio, Francis Bacon. Logica della sensazione,Quodlibet, Macerata 2008]
Cinéma 1. L’image-mouvement, Minuit, Paris 1983 [trad. it. di J. P. Manganaro, L’immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1984]
Cinéma 2. L’image-temps, Minuit, Paris 1985 [trad. it. di L. Rampello, L’immagine-tempo, Ubulibri, Milano 2001]
Foucault, Minuit, Paris 1986 [trad. it. di P. A. Rovatti e F. Sossi, Foucault, Cronopio, Napoli 2002]
Le pli. Leibniz et le Baroque, Minuit, Paris 1988 [trad. it. di D. Tarizzo, La piega. Leibniz e il Barocco, Einaudi, Torino 2004]
Periclès et Verdi. La philosophie de François Châtelet, Minuit, Paris 1988 [trad. it. di A. Moscati, Pericle e Verdi, Cronopio, Napoli 1996]
Pourparlers 1972-1990, Minuit, Paris 1990 [trad. it. di S. Verdicchio, Pourparler, Quodlibet, Macerata 2000]
Qu’est-ce que la philosophie?, (con F. Guattari), Minuit, Paris 1991 [trad. it. di A. De Lorenzis, Che cos’è la filosofia, Einaudi, Torino 1996]
Critique et clinique, Minuit, Paris 1993 [trad. it. di A. Panaro, Critica e clinica, Raffaello Cortina, Milano 1997]
L’île déserte et autres textes. Textes et entretiens 1953-1974 (a cura di D. Lapoujade), Minuit, Paris 2002 [trad. it. di D. Borca, L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, Einaudi, Torino 2007]
Deux régimes de fous. Textes et entretiens 1975-1995 (a cura di d. Lapoujade), Minuit, Paris 2003
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