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All'università è vietato essere geniali

Se all'università è vietato essere geniali

Di Stefano Zecchi

 

Tra i non pochi problemi della nostra università, c’è la figura del fuoricorso, cioè dello studente che non frequenta, non dà esami, rimane parcheggiato nelle facoltà in attesa di finire- chissà quandogli esami e laurearsi.

Una figura che nelle università straniere non è contemplata: se uno studente non termina gli studi nel tempo previsto dai regolamenti accademici, decade, esce dall’università. Da noi, invece, resta: sostiene un esame ogni tanto, non frequenta le lezioni, sconvolge il principio stesso dello studio universitario e richiede una preparazione in tempi programmati per entrare alla meglio nel mondo della professioni.

Di tanto in tanto il legislatore di turno adotta dei provvedimenti per cercare di limitare la figura dello studente fuori corso, ma senza significativi successi, tanto è vero che la sua presenza anche se massiccia non fa notizia e non disturba nessuno. Nella facoltà di giurisprudenza dell’università La Sapienza di Roma fa invece notizia, e disturba la pigra routine accademica, Luca Pompei. Fuori corso? No, corso ristretto.

Il giovane è riuscito a sostenere tutti i 29 esami richiesti per la laurea in legge - in due anni. Lui intende laurearsi, e invece non può: deve aspettare ancora un paio d’anni perché il corso di studi ne contempla cinque. Lo studente inoltra domanda all’amministrazione universitaria perché faccia un’eccezione alla regola che non ammette la possibilità che si finiscano gli esami in anticipo sul piano programmato degli studi. Niente da fare. Il giovane ha un’ottima media, 28,48, è pronto per sostenere la tesi di laurea ma il regolamento accademico prevede il fuori corso e non chi s’impegna al punto di bruciare le tappe e laurearsi bene e alla svelta. Insomma, abbiamo un’università che si preoccupa di essere indulgente e generosa con chi non arriva a laurearsi e intransigente e repressiva con chi ha intelligenza e genialità.

Luca Pompei ha dichiarato di sentirsi umiliato per il trattamento subito e ha ricorso al Tar per potersi laureare senza aspettare due anni che non gli darebbero assolutamente nulla sul piano della sua formazione. Non so cosa potrà ottenere dal tribunale amministrativo, ma anche se avrà soddisfazione, l’umiliazione subita non verrà cancellata da una sentenza di tribunale.

Posso immaginarmi cosa gli sia stato risposto dai vari uffici dell’università a cui s’è rivolto per spiegare la sua situazione: nessuna considerazione (non dico ammirazione di fronte all’eccezionalità di quel cammino accademico) per la sua richiesta di accelerare i tempi della discussione della tesi di laurea; molto fastidio per un caso non previsto dai regolamenti, che invece si sarebbe dovuto valutare con grande interesse. La vicenda di Luca Pompei è innanzitutto la triste testimonianza di un’università che negli anni s’è data tante preoccupazioni per abbassare il proprio livello scientifico in modo da essere buona e generosa verso chi ha scarse qualità intellettuali, e non ha valutato l’importanza di proteggere e favorire le eccellenze. Il risultato è che i Luca Pompei vengono trattati con fastidio e umiliati mentre si ha un occhio di riguardo per chi affolla l’università con risultati modesti.

Ci troviamo così in una situazione anomala a livello europeo: abbiamo un numero basso di laureati e alto di disoccupati laureati. In secondo luogo, la vicenda è una testimonianza spietata sull’inutilità dei professori. È, più precisamente, la dimostrazione che molte cattedre universitarie sono in funzione del docente e non dello studente, servono per dare una cattedra e uno stipendio non un insegnamento necessario per la formazione del laureando. Per fare 29 esami in 24 mesi, Luca Pompei non ha evidentemente frequentato le lezioni, ha visto - sì e no - il professore nel giorno dell’esame, gli è stato sufficiente studiare i libri previsti dal programma. Perché Luca Pompei ha fatto così presto a terminare gli esami del corso di laurea?

Certamente perché ha una propria genialità e capacità di studio, ma poi perché non esiste nessuna attività specifica - esercitazioni, laboratori - da parte del docente per preparare gli studenti al suo esame: si leggano qualche libro e buona fortuna. Ventinove esami in 24 mesi significano molti professori inutili in un’università specializzata in laureati disoccupati e indifferente all’eccellenza e alla competizione culturale.

 

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Ipse dixit  
  "Un filosofo: un filosofo è un uomo che costantemente vive, vede, sente, intuisce, spera, sogna cose straordinarie; che viene colpito dai suoi propri pensieri come se venissero dall'esterno, da sopra e da sotto, come dalla sua specie di avvenimenti e di fulmini; che forse è lui stesso un temporale gravido di nuovi fulmini; un uomo fatale, intorno al quale sempre rimbomba e rumoreggia e si spalancano abissi e aleggia un'aria sinistra. Un filosofo: ahimè, un essere che spesso fugge da se stesso, ha paura di se stesso - ma che è troppo curioso per non 'tornare a se stesso' ogni volta" (Friedrich Nietzsche) *** "Io ho un solo amico, è l'eco: e perché è mio amico? Perché io amo il mio dolore e l'eco non me lo toglie. Io ho un solo confidente, è il silenzio della notte. E perché è il mio confidente? Perché il silenzio tace". (Soren Kierkegaard) *** "Un grande uomo costringe gli altri a spiegarlo" (Georg Wilhelm Friedrich Hegel) *** "Il mondo non è nè vero nè reale, ma vivente" (Gilles Deleuze) *** "Strano come, appena pronunciata, una cosa perde il suo valore. Crediamo d'essere scesi sul fondo dell'abisso, ma quando risaliamo, le gocce rimaste sulle pallide punte delle nostre dita, non hanno più nulla del mare da cui provengono. Crediamo d'avere scoperto una fossa piena di tesori meravigliosi, ma, quando risaliamo alla luce, ci accorgiamo di avere con noi solo pietre false e frammenti di vetro. Nella tenebra, intanto, il tesoro continua a brillare, inalterato". (Maeterlinck)  
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