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Gadamer. Il linguaggio dell'essere.

Gadamer. Il linguaggio dell'essere
di Michele Lasala

Tutta la riflessione di Gadamer ( Marburgo, 1900 – Heidelberg, 2002 ) ruota intorno ad un tema: l'esperienza di verità; e l'opera in cui maggiormente è sviluppato tale oggetto di speculazione è Verità e metodo ( 1960 ).
Secondo Gadamer, esiste un modo per giungere alla verità delle cose diverso da quello adottato dalla scienza, ovvero diverso dal metodo scientifico moderno, ed è quello dimostrato da tutte quelle esperienze che l'uomo fa: le esperienze di verità.
Queste esperienze dicono dell'uomo, del suo essere storico, della sua condizione contingente, della sua natura; e questo perchè l'uomo facendo esperienza di qualche cosa perviene via via all'autocomprensione, a comprendersi, a interpretarsi. In altri termini, l'uomo giunge alla sua verità, ma allo stesso tempo alla verità dell'essere. Anzi, giunge all'essere. Tutto questo grazie a esperienze extrametodiche.
 Quando l'uomo fa esperienza di qualcosa viene coinvolto in una situazione che gli è data; in una situazione che egli non ha determinato da sé. Ed è per questo che l'uomo viene preso dal dato, dal fatto empirico, dalla cosa. Viene catturato, si potrebbe dire. Per capire questo fenomeno genuinamente ermeneutico ( perchè è qui che l'uomo giunge alla comprensione di sé, seppur non definitivamente compiuta una volta per tutte ), basta pensare a ciò che avviene nella sfera estetica, e in particolare davanti a un'opera d'arte. Quando l'uomo fa un'esperienza estetica di questo tipo, quando cioè è davanti a un quadro ( che abbia rilevanza artistica ) si modifica, o meglio è la sua coscienza che viene modificata, e viene modificata grazie alla comprensione-interpretazione dell'oggetto artistico. Detto diversamente: la coscienza viene modificata nella conoscenza. Secondo  Gadamer, ciò è possibile solo presupponendo un medium tra l'io e la realtà , tra la coscienza interpretante e l'oggetto interpretato. Questo medium, questo strumento è il linguaggio.
Il linguaggio che noi parliamo è l'espressione più schietta della nostra cultura, della nostra storia, della nostra identità: esso è tradizione. Da qui il paradosso di un linguaggio che non viene parlato, ma che parla a noi, ci parla e dice del nostro essere storico, finito, contingente. Il linguaggio non è solo quello verbale, ma può assumere varie forme; forme che esprimono la tradizione entro cui l'interprete si colloca.
Gadamer scrive, sempre in Verità e metodo:

"Il linguaggio è un mezzo in cui io e mondo si congiungono, o meglio si presentano nella loro originaria congenerità: è questa l'idea che ha guidato la nostra riflessione. Abbiamo anche messo in luce come questo mezzo speculativo del linguaggio si presenti come un accadere finito in contrasto con la mediazione dialettica del concetto. In tutti i casi analizzati, sia nel linguaggio del dialogo come in quello della poesia e anche in quello dell'interpretazione, ci è apparsa la struttura speculativa del linguaggio, che consiste nel non essere un riflesso di qualcosa di fissato, ma un venire all'espressione in cui si annuncia una totalità di senso". 

Grazie al linguaggio l'uomo interpreta e comprende, e allo stesso tempo viene compreso e interpretato dall'oggetto che ha di fronte, sempre attraverso il medium linguistico.
L'esperienza estetica fa sì che l'uomo si elevi alla comprensione della sua coscienza in maniera per così dire immediata, intuitiva. Tuttavia tale comprensione – lo si è già accennato – non è mai definitivamente compiuta, ma è il presupposto per un nuovo tendere verso una nuova esperienza di verità, in cui l'uomo possa ancora una volta attuare quel processo si autocomprensione del suo essere, che rimane pur sempre nascosto dietro le cose e nelle esperienze.
Il problema che Gadamer solleva in Verità e metodo è un problema di carattere filosofico, e muove dalla questione kantiana che si esprime nella domanda: sono possibili giudizi sintetici a priori? La questione gadameriana, invece, riguarda la possibilità del comprendere. Gadamer si chiede: è possibile il comprendere?
Secondo Gadamer, il comprendere è insito nella vita stessa dell'uomo, anzi è la vita stessa dell'uomo, vista come un continuo e ininterrotto tendere verso la comprensione della realtà. La vita dell'uomo è, quindi, pura ermeneutica; e l'uomo stesso è un essere ermeneutico.Si evince da qui che Gadamer concepisce l'ermeneutica non più come una disciplina tecnica, come un insieme di regole da applicare a un testo, a un oggetto qualsiasi; non più come la intendeva Schleiermacher. L'ermeneutica è la vita stessa dell'uomo.



Hans-Georg Gadamer 



vedi anche

Pensieri di Jean-Paul Sartre (a cura di Fabio Squeo)

Intervista immaginaria a Miguel de Cervantes

Il Don Chisciotte di Scaparro. Tragicomico frammento della nostra esistenza
 
L'eterna malattia del male di vivere










referenze fotografiche:

http://www.philosophisches-forum.de/index.html 

Ipse dixit  
  "Un filosofo: un filosofo è un uomo che costantemente vive, vede, sente, intuisce, spera, sogna cose straordinarie; che viene colpito dai suoi propri pensieri come se venissero dall'esterno, da sopra e da sotto, come dalla sua specie di avvenimenti e di fulmini; che forse è lui stesso un temporale gravido di nuovi fulmini; un uomo fatale, intorno al quale sempre rimbomba e rumoreggia e si spalancano abissi e aleggia un'aria sinistra. Un filosofo: ahimè, un essere che spesso fugge da se stesso, ha paura di se stesso - ma che è troppo curioso per non 'tornare a se stesso' ogni volta" (Friedrich Nietzsche) *** "Io ho un solo amico, è l'eco: e perché è mio amico? Perché io amo il mio dolore e l'eco non me lo toglie. Io ho un solo confidente, è il silenzio della notte. E perché è il mio confidente? Perché il silenzio tace". (Soren Kierkegaard) *** "Un grande uomo costringe gli altri a spiegarlo" (Georg Wilhelm Friedrich Hegel) *** "Il mondo non è nè vero nè reale, ma vivente" (Gilles Deleuze) *** "Strano come, appena pronunciata, una cosa perde il suo valore. Crediamo d'essere scesi sul fondo dell'abisso, ma quando risaliamo, le gocce rimaste sulle pallide punte delle nostre dita, non hanno più nulla del mare da cui provengono. Crediamo d'avere scoperto una fossa piena di tesori meravigliosi, ma, quando risaliamo alla luce, ci accorgiamo di avere con noi solo pietre false e frammenti di vetro. Nella tenebra, intanto, il tesoro continua a brillare, inalterato". (Maeterlinck)  
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