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In nome della bellezza

In nome della bellezza
di Stefano Zecchi

In tempi di crisi, l’arte dovrebbe impegnarsi nella ricerca di nuovi simboli comunicativi.
In ogni epoca, i grandi artisti sono stati in grado di esprimere la sensibilità, i valori, le utopie del proprio tempo, rappresentandolo o anticipandolo. Tra le tante domande che ci rivolgiamo in questi giorni, in cui la crisi economica sta condizionando il nostro modo di vivere, si potrebbe aggiungerne un’altra, che riguarda la relazione tra la crisi e l’arte. Gli artisti, i veri artisti, avvertono oggi nella loro creatività i problemi generati dall’attuale situazione economica, politica, sociale?
La grande rivoluzione formale nelle arti tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX è stata determinata dalle trasformazioni provocate dall’industrializzazione del lavoro e dalla pervasività del sapere scientifico che ha modificato radicalmente gli statuti della conoscenza della realtà. Si trattò di una rivoluzione culturale che dislocò la millenaria formazione dell’uomo dall’educazione estetica a quella scientifica. Il segno evidente nelle arti di questo cambiamento fu la caduta della categoria del bello dal giudizio estetico. La bellezza divenne un inutile concetto della creatività artistica. Naturalmente mi riferisco alle grandi avanguardie del ‘900 e agli artisti che ne proseguirono i modelli formali, spesso ripetendoli con stucchevoli manierismi.
Se esaminiamo il periodo intorno alla fine degli anni ’20 in Occidente, contrassegnati da una profonda depressione economica, che gli analisti considerano per molti aspetti simile a quella che stiamo attraversando oggi, ci accorgiamo che la crisi non influì in modo significativo sulle arti, sui modelli estetici nati dalla rivoluzione industriale, dalla pervasività del sapere scientifico, dalla massificazione della cultura.
In questo senso, l’attuale crisi economica è molto diversa da quella degli anni 20. È in crisi un modello di società, il suo Welfare, la sua democrazia rappresentativa: viene cioè destrutturata quell’idea di collettività che nasce e si sviluppa nel ‘900 con la grande industria, con il potere della scienza, con il concetto guida di progresso, rappresentata dalle avanguardie artistiche. L’attuale crisi non è nella sua essenza economica, ma è piuttosto causata dal dominio dell’economia sullo sviluppo sociale.
Siamo stati, per così dire, abituati a pensare che la cultura sia il fondamento della politica e che questa diriga l’economia per realizzare quell’idea di società che nasce da una determinata visione culturale. Oggi si è rovesciata la situazione: l’economia comanda la politica che non se ne fa nulla della cultura. L’arte dove si colloca? Nell’inutile. Può uscire da questo luogo di inutilità?
No di certo.
Tuttavia c’è una questione che ci fa capire quanto l’arte possa essere decisiva per ridefinire i principi di comunicazione del significato, del valore, del senso della vita: è il problema dell’arte religiosa.
L’arte è stata il più potente strumento dell’apologetica cristiana, cioè di un fondamento imprescindibile della cultura occidentale moderna. Oggi le autorità ecclesiastiche riconoscono che l’arte cristiana attraversa una crisi che deve superare per poter continuare a testimoniare la parola di Cristo. Ma per questo superamento è necessario che l’artista trovi un’energia creativa in grado di risimbolizzare il mondo nel segno della bellezza della parola di Cristo. Se anche l’arte laica s’impegnerà nella ricerca di propri nuovi simboli comunicativi, di nuova bellezza vivente, uscirà dalla sua inutilità in cui l’attuale crisi sociale e politica (molto più profonda di quella economica) l’ha condannata.





 
Giovan Battista Salvi, detto "il Sassoferrato"





-http://www.artein.it/





Ipse dixit  
  "Un filosofo: un filosofo è un uomo che costantemente vive, vede, sente, intuisce, spera, sogna cose straordinarie; che viene colpito dai suoi propri pensieri come se venissero dall'esterno, da sopra e da sotto, come dalla sua specie di avvenimenti e di fulmini; che forse è lui stesso un temporale gravido di nuovi fulmini; un uomo fatale, intorno al quale sempre rimbomba e rumoreggia e si spalancano abissi e aleggia un'aria sinistra. Un filosofo: ahimè, un essere che spesso fugge da se stesso, ha paura di se stesso - ma che è troppo curioso per non 'tornare a se stesso' ogni volta" (Friedrich Nietzsche) *** "Io ho un solo amico, è l'eco: e perché è mio amico? Perché io amo il mio dolore e l'eco non me lo toglie. Io ho un solo confidente, è il silenzio della notte. E perché è il mio confidente? Perché il silenzio tace". (Soren Kierkegaard) *** "Un grande uomo costringe gli altri a spiegarlo" (Georg Wilhelm Friedrich Hegel) *** "Il mondo non è nè vero nè reale, ma vivente" (Gilles Deleuze) *** "Strano come, appena pronunciata, una cosa perde il suo valore. Crediamo d'essere scesi sul fondo dell'abisso, ma quando risaliamo, le gocce rimaste sulle pallide punte delle nostre dita, non hanno più nulla del mare da cui provengono. Crediamo d'avere scoperto una fossa piena di tesori meravigliosi, ma, quando risaliamo alla luce, ci accorgiamo di avere con noi solo pietre false e frammenti di vetro. Nella tenebra, intanto, il tesoro continua a brillare, inalterato". (Maeterlinck)  
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