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Il bambino sognante (I parte)

IL BAMBINO SOGNANTE
di Giuseppe Pischetola

 

I

Il bambino sognante, spontaneamente ha rivolto lo sguardo al cielo.
Come se per un arcano mistero sapesse che lì avrebbe trovato i suoi desideri nascenti sorridere.
Vi ha trovato un chiarore tondeggiante.
Vi ha trovato la luna.
Misteriosamente sospesa in un drappo di stelle.
 La sua luce gli diceva di non avere paura.
Di sognare sempre.
 Di rivolgersi a lei ogni qualvolta temesse per un suo sogno.
Ogni volta  gli fosse parso di averlo smarrito.
Il bambino si è sentito rasserenato.
 La luna gli avrebbe indicato,
che ogni timore di sogno smarrito era solo timore,
ma che in realtà il sogno,
 roteando nella volta celeste,
si era semplicemente spostato

***
II

E così ha camminato.
Man mano che la sua ombra si allungava,
ed i passi si facevano più pesanti.
Nell’arsura del sole.
Nella pioggia.
Nella neve.
Nel fango.
Senza timore.
Nei mattini rischiarati da un sole carezzevole,
si è disteso sui prati verdi.
A riempirsi l’anima delle sue tante primavere.
Respirando profumi di fiori selvatici,
che gli ricordavano il selvatico sognare suo.
Selvatico perché senza malizia alcuna.
Selvatico perché spontaneamente nato dal nulla,
tra mille asperità ancora invisibili.
Sogno senza nessuna contaminazione .
Né di incubo smorto.
Né di buio invadente.
Né di bieca ambizione.
Sogno e basta.
In un delicato velo di
festoso matrimonio tra desiderio e ingenuità.
Al di là di ogni ragionevole sospetto.
Perché il sospetto non aveva spazio. Lo spazio era già saturo d’amore
Come  di polline le campagne in primavera.

***
III

 Capitò così,
una notte come tante,
per caso,
che il bambino-uomo sognante
avvertì un brivido improvviso
che non aveva mai provato prima.
Si spaurì e corse verso la finestra-cielo della sua stanza.
A cercare la sua amica luna ristoratrice.
La stanza era più buia del solito.
Gli parve strano.
Ma si incamminò con la sicurezza tremante
di chi ha in seno un cattivo presagio.
Aprì le imposte.
Il cielo era nero e buio.
Non un filo di luce.
La luna era svanita.
Non c’era più.
La cercò con disperazione.
Era la sua unica amica.
L’unica che aveva creduto in lui e
dato forza ai suoi sogni.
E non c’era più.Era impaurito.
“Dove sei amica mia?Dove sei sorella? Madre?”
    Gridava dentro di sé.
Lo gridava dentro
perché lui e la sua amica
non avevano mai usato parole per ascoltarsi.
Cominciò a guardare verso il basso,
temendo che il drappo di stelle
l’avesse lasciata cadere giù
senza più sorreggerla.
La cercava
ovunque ma non vi era un alito di luce.
Le stelle l’avevano abbandonata,
lasciando che precipitasse chissà dove.
E lei aveva seguito la caduta, placida e dimessa.
Come se in fondo l’avesse saputo da sempre
che sarebbe andata così.
Portando con sé i suoi sogni.
Il bambino sognante,
che era ormai un po’ meno bambino,
provò un sentimento nuovo.
Una grande dolorosa rabbia.
“L’avrebbero dovuta sorreggere e non lasciarla cadere così”.
Lo diceva piangendo
e, dispiacendosi della sua amica,
si dimenticò dei suoi sogni e di se stesso.
Perché era per lei che piangeva.
Non per i sogni.
Aveva perso il luminoso tepore clemente
di chi sorride indulgente ai sogni impossibili.
Perché ti vuole bene.

***
IV

E si svelò improvviso:
l’impossibile.
Non voleva crederci.
Non ne aveva mai sentito parlare dalla sua amica luna.
Ed era l’unica di cui si fidasse.
Eppure il cangiante straziante moto delle cose
rivelava
che qualcosa gli era stata tolta per sempre,
e che non l’avrebbe mai più ritrovata.
L’ingenuità.
Dono prezioso.
Lasciò chiuse le imposte
E non uscì dalla stanza per giorni.
Settimane.
Mesi.
Fece a pezzi tutti gli orologi,
così da non sapere quando era l’ora dell’amicizia perduta .
E quando quella dell’accecante sole dolorosamente chiaro.
Non si avvicinava nemmeno alla sua finestra-cielo.
Sapeva che non l’avrebbe più rivista.
Sapeva che le stelle l’avevano abbandonata ad una rovinosa caduta.
Piangeva per lei e si chiedeva dove fosse.
“Voglio solo rivederti
urlava dentro (perché lui e la sua amica
non avevano mai usato parole per ascoltarsi)
voglio solo rivederti.
Che ci riabbracciamo
come facevamo sempre.
Ogni notte.
Sapere che stai bene.
Che non ti è accaduto nulla di male.
Che magari le stelle ti hanno solo portato in un altro spaccato d’universo,
dove c’è più bisogno di te.
Che mi importa più dei miei sogni.
Mi importa solo di te”.
E piangeva.
Piangeva.
Piangeva.
Nell’indifferente roteare dei pianeti.

Ipse dixit  
  "Un filosofo: un filosofo è un uomo che costantemente vive, vede, sente, intuisce, spera, sogna cose straordinarie; che viene colpito dai suoi propri pensieri come se venissero dall'esterno, da sopra e da sotto, come dalla sua specie di avvenimenti e di fulmini; che forse è lui stesso un temporale gravido di nuovi fulmini; un uomo fatale, intorno al quale sempre rimbomba e rumoreggia e si spalancano abissi e aleggia un'aria sinistra. Un filosofo: ahimè, un essere che spesso fugge da se stesso, ha paura di se stesso - ma che è troppo curioso per non 'tornare a se stesso' ogni volta" (Friedrich Nietzsche) *** "Io ho un solo amico, è l'eco: e perché è mio amico? Perché io amo il mio dolore e l'eco non me lo toglie. Io ho un solo confidente, è il silenzio della notte. E perché è il mio confidente? Perché il silenzio tace". (Soren Kierkegaard) *** "Un grande uomo costringe gli altri a spiegarlo" (Georg Wilhelm Friedrich Hegel) *** "Il mondo non è nè vero nè reale, ma vivente" (Gilles Deleuze) *** "Strano come, appena pronunciata, una cosa perde il suo valore. Crediamo d'essere scesi sul fondo dell'abisso, ma quando risaliamo, le gocce rimaste sulle pallide punte delle nostre dita, non hanno più nulla del mare da cui provengono. Crediamo d'avere scoperto una fossa piena di tesori meravigliosi, ma, quando risaliamo alla luce, ci accorgiamo di avere con noi solo pietre false e frammenti di vetro. Nella tenebra, intanto, il tesoro continua a brillare, inalterato". (Maeterlinck)  
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